La crisi sanitaria ha aggravato la repressione dei giornalisti: soggetti a uccisioni, minacce e rapimenti, soffrono condizioni lavorative sempre più precarie. Lo dice Reporter senza frontiere (RSF) nel suo rapporto annuale sulla libertà di stampa, pubblicato da 25 anni per registrare lo stato dei professionisti dell’informazione. Sono in centinaia ad essere reclusi per aver resistito alla censura dei governi; secondo dati aggiornati al primo dicembre, si sono verificati 387 arresti, metà dei quali concentrati in cinque Stati: Cina (117), Arabia Saudita (34), Egitto (30), Vietnam (28) e Siria (27). La persecuzione cinese non presenta distinzioni di nazionalità: tra i giornalisti arrestati, l’australiana Cheng Lei, reclusa dal 14 agosto senza possibilità di comunicazione, e Gui Minhai, cittadino svedese condannato a dieci anni di carcere per “aver fornito illegalmente informazioni a paesi stranieri”. A Hong Kong la legge sulla sicurezza voluta dalla Cina ha ridotto la libertà di stampa, comportando l’arresto o la perdita di impiego per numerosi lavoratori nell’editoria. L’Egitto continua a tenere in carcere giornalisti detenuti anche dal settembre 2019; peggiore la condizione di altri quattro che rischiano la condanna a morte, destino già toccato all’iraniano Ruhollah Zam. In Siria, Iraq e Yemen sono sequestrati 54 professionisti dell’informazione. RSF richiama l’attenzione sulla Bielorussia, dove le elezioni presidenziali del 9 agosto hanno comportato l’arresto di almeno 370 giornalisti. Un grave peggioramento della libertà di stampa si registra anche negli Stati Uniti, dove quest’anno sono stati accusati o arrestati 110 giornalisti.
Peggiorano le condizioni dei giornalisti nel mondo
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